Crisi del Terzo Secolo

Definizione

Joshua J. Mark
da , tradotto da Gennaro Meccariello
pubblicato su
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Emperor Aurelian & Sasanid Archers (by The Creative Assembly, Copyright)
L'Imperatore Aureliano e gli arcieri sasanidi
The Creative Assembly (Copyright)

La crisi del Terzo Secolo (nota anche come Crisi dell'Impero del 235-284 d.C.) è il periodo della storia di Roma nel quale l'Impero fu suddiviso in tre differenti entità politiche: Impero delle Gallie, Impero di Roma e Regno di Palmira. Le scissioni dell'Impero, così come i disordini sociali ed il caos con il quale si contraddistinsero quegli anni, furono il frutto di una serie di concause, di cui di seguito riportiamo un elenco essenziale: Con la morte dell'Imperatore Alessandro Severo (222- 235 d.C.), per mano dei suoi stessi militari, si infransero le consuete procedure di selezione degli imperatori, ma non si trovò una chiara e condivisa procedura politica nella scelta e nella successione degli stessi ed ebbe così inizio un maggior protagonismo dei militari nella vita politica; durante la dinastia dei Severi l'inflazione e la depressione economica causarono la perdita di potere d'acquisto della moneta; le minacce d'invasione delle provincie periferiche, più esposte alle tribù barbariche, produssero una crescente pressione sugli imperatori affinché vi ponessero un argine; la peste, che contribuendo ad innalzare i livelli di insicurezza e paura, destabilizzò la tenuta sociale; la diminuzione della forza lavoro in agricoltura, dovuta all'aumentato fabbisogno di uomini da impiegare nelle campagne militari.

Dopo l'assassinio di Alessandro Severo, tra il 235 ed il 284 d.C., l'impero vide il susseguirsi di oltre 20 imperatori in poco meno di 50 anni, un numero davvero cospicuo se pensiamo che dal tempo di Cesare Augusto (27 a.C.-14 d.C.) fino a quello di Severo (235 d.C.), ovvero più di 250 anni, avevano regnato 26 imperatori. L'impero ritornò ai sui fasti soltanto grazie agli sforzi di Aureliano (r. 270-275 d.C.), le cui iniziative furono riprese e sviluppate da Diocleziano (r. 284-305 d.C.), a cui sono solitamente associati la fine della crisi dell'impero ed il consolidamento che ne consentì la prosecuzione.

Origini della crisi

Settimio Severo (r. 193-211 d.C.), col quale ebbe inizio la Dinastia dei Severi, avviò una strategia di ammorbidimento delle contese con i militari, riuscendo ad ottenere la loro fedeltà attraverso aumenti della diaria ed altri tipi di concessioni. Egli innalzò, infatti, la paga delle truppe da 300 a 500 denarii annui. L'aumento, pur arrivando con grande ritardo, riuscì ad ampliare la base delle forze armate, col fine di consentir loro di far fronte alle sfide cui Roma era allora chiamata nelle zone lungo i suoi confini. L'Imperatore, nell'intento di riuscire a pagare l'aumento dei militari, svalutò la moneta corrente, introducendo la coniazione con metalli meno preziosi. Tale svalutazione, pur non provocando alcun immediato problema economico, costituì un precedente, tanto da essere ampiamente riproposta dai suoi successori nei decenni seguenti, ma con più gravi conseguenze.

tra il 235 ed il 284 D.C. l'Impero vide il susseguirsi di oltre 20 imperatori in poco meno di 50 anni.

Inoltre, puntando sull'appoggio dei militari, Severo indebolì il ruolo e la tradizionale autorevolezza dell'Imperatore, legandolo e rendendolo dipendente dalla lealtà dell'esercito stesso. Quantunque fosse stato, in un modo o nell'altro, sempre legato all'appoggio dei militari, il favore dell'Imperatore verso gli uomini dell'esercito divenne ben più pronunciato. Tuttavia, durante il corso della Dinastia Severiana, il danno causato dalla frattura rispetto al modello tradizionale – nel quale, ricordiamo, l'Imperatore aveva la sovranità in base al diritto di successione – non generò alcun inconveniente, mentre dopo la morte dell'ultimo imperatore della dinastia, Alessandro, i problemi non tardarono a manifestarsi.

Alessandro Severo era letteralmente dominato dalla madre, Giulia Avira Mamea e dalla nonna, Giulia Mesa, che lo guidarono sin dall'inizio del suo regno, allorquando era soltanto un adolescente. Malgrado il gran numero di valide iniziative politiche implementate, egli non riuscì mai a liberarsi effettivamente dall'influenza della madre, e ciò alla fine lo portò alla capitolazione. D'altro canto la madre si era già guadagnata l'avversione delle truppe, grazie al taglio della diaria deciso col fine di risparmiare risorse da spendere per le proprie esigenze. Divenendo col tempo sempre più evidente come Alessandro fosse soltanto un burattino nelle mani della madre, i militari persero rispetto per lui. L'ultimo atto della vicenda venne dall'offesa ricevuta nella campagna contro le tribù germaniche.

The Roman Empire and the Crisis of the Third Century, c. 270 CE
L'Impero Romano intorno al 270 d.C., durante la crisi del Terzo Secolo
Simeon Netchev (CC BY-NC-ND)

Egli, seguendo il consiglio della madre, invece di scontrarsi militarmente con i suoi avversari, patteggiò la loro resa, pagando un riscatto in denaro. Tuttavia, mentre per la madre quella era la cosa più saggia da fare, la decisione di assecondare tale consiglio, fu vista dagli uomini dell'esercito di Alessandro come una disonorevole codardia, tanto che entrambi, lui e la madre, furono assassinati dai capi delle milizie. Di lì in avanti Massimino il Trace (235-238 d.C.) prese il comando, divenendo il primo imperatore di quel periodo, la lunga crisi dei 49 anni successivi, che sarà poi designato come "Anarchia militare".

L'anarchia militare

Quella di "Anarchia militare" è la definizione di un periodo della storia romana, creata dagli storici posteriori per indicare il modo in cui, in quegli anni, gli imperatori, con rapidi avvicendamenti, fossero scelti e portati al potere dai ranghi militari. Infatti, là dove in precedenza un imperatore giungeva al potere attraverso determinate modalità di successione – o perché figlio o perché scelto come erede dall'imperatore in carica – da quel momento in poi venne scelto dai militari, tra i militari stessi, assecondando la sua popolarità tra le truppe, la sua liberalità verso i reparti, nonché l'abilità dimostrata nell'ottenere rapidi e visibili risultati nei combattimenti. Allorquando, poi, uno qualunque di tali criteri era disatteso – ed in specie l'ultimo – egli veniva assassinato e sostituito con un altro capo.

Tra il regno di Alessandro Severo e quello di Diocleziano si susseguirono oltre 20 imperatori, che salirono al potere e ne furono esautorati, in una più che rapida successione. Essi furono:

Massimino il Trace (235-238 d.C.), che fu ucciso dai suoi stessi legionari, stanchi di essere coinvolti per suo volere in continue azioni di guerra, verso l'estero e nei confini imperiali. Inoltre, egli fu ritenuto incapace di far fronte alla carestia, alle epidemie ed ai conseguenti tumulti sociali, che interessarono larghi strati della popolazione.

Maximinus I
Massimino I, detto il Trace
Mark Cartwright (CC BY-NC-SA)

Gordiano I e Gordiano II (238 d.C., Marzo-Aprile) erano padre e figlio, e furono fatti imperatori dal Senato, che ebbe un ruolo nei tentativi di spodestare Massimino. Gordiano II fu assassinato mentre combatteva contro i sostenitori del Trace, e Gordiano si suicidò dopo aver saputo della sua morte.

Balbino e Pupieno (238 d.C., Aprile-Giugno) anch'essi osteggiarono Massimino, tuttavia, essendo invisi al popolo finirono giustiziati dalla Guardia del Pretorio.

Gordiano III (238-244 d.C.) esercitò il potere in coabitazione con Balbino e Pupieno, fino a quando quest'ultimi furono assassinati e lui venne proclamato imperatore dai medesimi militari che avevano appoggiato Gordiano I e Gordiano II. Finì per essere ucciso, molto probabilmente, dal suo successore, Filippo l'Arabo.

Filippo l'Arabo (244-249 d.C.). Marco Giulio Filippo, detto l'Arabo, durante il regno di Gordiano era Prefetto del Pretorio, prima di diventare egli stesso imperatore ed associare al trono suo figlio, Filippo II. Trovò la morte in battaglia, per mano del suo successore Decio e dopo di ciò suo figlio, appena dodicenne e co-imperatore, fu giustiziato dai Pretoriani.

Decio (249-251 d.C.) era governatore di una provincia, quando salì al potere con l'appoggio delle sue milizie. Seguì la politica di Filippo, e, col fine di garantire una successione tranquilla, associò al trono suo figlio. Tuttavia entrambi caddero vittime delle armi dei Goti guidati dal re Cniva, durante la Battaglia di Abrittus del 251 d.C.

Ostiliano (251 d.C., Giugno-Novembre), figlio minore di Decio, morì mentre era in carica, a causa della peste.

Treboniano Gallo (251-253 d.C.) era un generale durante il regno di Decio, ed anch'egli, cercando di garantire una continuità alla carica, associò suo figlio Volusiano al potere; entrambi però finirono per essere assassinati dai loro stessi miliziani, che elessero invece Emiliano.

Emiliano (253 d.C., Agosto-Ottobre), governatore di una provincia, venne acclamato imperatore dai militari dell'esercito, che però ne rimasero delusi arrivando a sopprimerlo con violenza ed a sostituirlo con Valeriano.

Valeriano (253-260 d.C.) indicò suo figlio come co-imperatore, prima di essere fatto prigioniero ed ucciso nella campagna militare contro i Sasanidi Persiani guidati da Shapur I (240-270 d.C.). Secondo alcune fonti, il suo corpo impalato fu tenuto esposto nel palazzo reale persiano, al cospetto delle autorità in visita al re.

Gallieno (260-268 d.C.) esercitò nel concreto la sua carica e dimostrò di essere anche un valido capo militare, dando inizio ad una serie di notevoli riforme culturali e militari (la più rilevante vide aumentare il ruolo della cavalleria). Ciononostante, egli non riuscì a sottrarsi al clima di odio creatosi in quei tempi e finì per essere giustiziato dai miliziani durante una campagna militare, in una cospirazione che vedeva coinvolto il futuro imperatore Aureliano.

Claudio II, il Gotico (268-270 d.C.) si meritò il nome commemorativo di "Gotico" grazie alla sua vittoria sui Goti. Di lui si dice che fosse riluttante ad accettare la carica di imperatore e che vendicò l'assassinio di Gallieno. Tutto faceva ben sperare per l'esercizio della sua carica ma, essendosi ammalato di peste, egli morì dopo soltanto due anni di regno.

Quintillo (270 d.C.), fratello di Claudio il Gotico, salì al potere poco dopo la sua morte, ma ancor più brevemente gli sopravvisse, poiché venne assassinato, probabilmente da Aureliano.

Aureliano (270-275 d.C.) fu uno dei pochi imperatori durante l'anarchia militare ad anteporre il benessere del popolo ed il consolidamento dell'impero alla propria personale ambizione. Egli agì a tal fine con una strategia organica, riuscendo a rafforzare le istituzioni imperiali. Sconfisse i Galli e gli scissionisti del Regno di Palmira, così da riportarli sotto il controllo di Roma, risultò inoltre vittorioso contro un ampio numero di altre tribù ostili, rendendo con ciò più sicuri i confini imperiali. Tuttavia, nonostante i sui molti successi militari, cadde vittima dei suoi stessi generali.

Nei nove anni successivi Tacito, Floriano, Probo, Caro, Numeriano e Carino avrebbero assunto la massima carica – tutti seguendo la stessa trafila, di essere prima eletti e poi, nella maggior parte dei casi, giustiziati dalle milizie – fino a quando fu Diocleziano a prendere il potere. Nel corso degli anni, mentre tutti questi uomini si combattevano per decidere chi dovesse comandare, l'impero che era loro chiesto di guidare, andava verso la disgregazione. Dalla morte di Alessandro Severo in poi, gli aspiranti imperatori ebbero bisogno di truppe sempre più numerose, con sempre maggiori equipaggiamenti e, data la scarsità dei fondi per finanziare tali spese, continuarono ripetutamente a far leva sulla svalutazione della moneta.

Non c'è da sorprendersi, dunque, se in risposta al caos sociale creatosi – con l'intermittente presenza di valide guide, costrette ad affrontare un crescente numero di impellenti difficoltà – il grande impero iniziò a dividersi, con l'emergere di nuovi capi convinti di poter migliorare le condizioni del loro popolo, senza gli inutili spargimenti di sangue dovuti al governo di Roma. Nel 260 d.C. il Governatore della provincia di Germania, Postumo (260-269 d.C.), si ribellò, separandosi da Roma e creando l'impero delle Gallie, che comprendeva Germania, Gallia, Spagna e Britannia. Ad Est, poi, intorno al 270 d.C., Zenobia (270-272 d.C.) la Regina di Palmira (oggi Tadmor, in Siria), creò un proprio regno – il Palmirene – che si estendeva dalla Siria all'Egitto.

Gli imperi separatisti

Sebbene siano stati solitamente etichettati come tali, in realtà Postumo e Zenobia non furono propriamente ribelli contro Roma. Nelle determinazioni ufficiali di Zenobia, infatti, non c'è nulla che possa far pensare ad un'esplicita ribellione contro lo Stato, così come, dopo l'attacco iniziale, poco c'era di ciò anche nelle decisioni di Postumo. Entrambi, poi, erano abbastanza prudenti da riconoscere che, nonostante le sue difficoltà, Roma rappresentava per loro ancora una sostanziale minaccia.

Invece di proporsi a Roma come un nuovo potenziale nemico, Postumo garantì all'imperatore ed al Senato Romano che egli si sarebbe mosso per migliorare gli interessi romani nelle provincie. Zenobia, in Oriente, seguì un'uguale strategia, ed anzi, addirittura, si preoccupò di coniare monete che riportavano da un verso l'effigie del figlio Vaballato e dall'altro quella di Aureliano, tanto da far sembrare plausibile che la regina sperasse di inserire il figlio nella lotta per la successione, all'ormai poco onorevole carica di imperatore di Roma. Ragion per cui la nota definizione del suo regno come una scissione separatista è, ad oggi, insostenibile. Postumo, allo stesso modo, benché agì chiaramente in modo autonomo, fino al punto di creare un suo Senato ed una sua amministrazione burocratica, continuò con le scelte politiche a rispettare nei fatti Roma, col fine di accattivarsene la benevolenza.

Roman Empire 271 CE
L'Impero Romano nel 271 d.C.
Pomalee et al. (CC BY-SA)

Quelli avvenuti su gli altri fronti, ovvero in Gallia ed a Palmira, piuttosto che espliciti atti di secessione, dovrebbero essere valutati come naturali e condivisibili reazioni al caos nel quale era precipitato l'impero. Sebbene possa, dalla lunga distanza, apparire chiaro il modo in cui sia Postumo, sia Zenobia stessero lottando per il potere ed allo stesso tempo per affermare l'indipendenza e la sovranità dei loro regni, essi perseguirono tale scopo sempre in modo da far apparire ciò come un interesse di Roma e, nella speranza, quanto meno, di una futura ricompensa o legittimazione dal governo romano.

Durante la gran parte del periodo definito come crisi del Terzo Secolo, gli imperatori erano fin troppo impegnati a combattersi l'un l'altro o a respingere i nemici esterni, tanto da non poter dare troppo peso alle rivolte degli scissionisti lungo i loro confini. Comunque, giunto che fu al potere Aureliano, egli ebbe come sua priorità la riunificazione dell'impero.

La restaurazione di Aureliano

Lucio Domizio Aureliano – meglio conosciuto come Aureliano – durante il regno di Gallieno, era un apprezzato e valente comandante della cavalleria. Egli prese parte alla cospirazione ai danni dell'imperatore, ma non riuscì ad avere la meglio nella sua successione, dato il prevalere, il quel frangente, di Claudio il Gotico prima e del fratello Quintillo, poi. Proprio Aureliano, quindi, eliminò Quintillo, godendo dell'appoggio dell'esercito per il suo colpo di mano.

Pur avendo già dato prova di non comuni e spietate doti di comandante, il nuovo imperatore tra il 270 ed il 272 d.C., aumentò la sua fama grazie alle vittoriose campagne di consolidamento dei confini contro – tra gli altri – Vandali, Alamanni, Iuti e Goti. Dopo aver condotto a termine tali azioni, si concentrò sull'Est, marciando verso Zenobia.

Zenobia in Chains
Zenobia in catene
Sowlos (CC BY-SA)

Aureliano non essendo un politico, ma un militare, ignorò del tutto le motivazioni che avevano condotto Zenobia alla guida dell'Egitto, né tantomeno aveva intenzione di tener conto di quanto ipoteticamente, la stessa, avrebbe potuto fare a favore di Roma. Entrando nei suoi territori, dunque, mise in atto la medesima strategia di fare terra bruciata intorno all'obbiettivo principale, che era risultata tanto efficace contro gli altri avversari. Distrusse ogni città incontrata lungo il suo cammino, fino a quando giunse alle porte di Tiana. Quest'ultima era la patria del famoso filosofo Apollonio di Tiana, che era apparso in sonno ad Aureliano, chiedendogli di essere compassionevole, se desiderava risultare vittorioso in questa sua impresa. L'imperatore risparmiò la città e la voce della sua benevolenza si diffuse velocemente; da allora in avanti le altre città della regione gli aprirono le porte delle loro mura, senza opporre resistenza.

Zenobia allestì le sue truppe, affidandone il comando al brillante generale Zabdas ed in fine, nel 272 d.C., i due eserciti si scontrarono in battaglia a Immae. Aureliano diede ordine alla sua cavalleria di attaccare, ma appena dopo la richiamò in una via di fuga, costringendo in tal modo i cavalieri avversari ad esporsi, continuando l'azione. La sua tattica era di attirare gli avversari in un'imboscata, conducendoli in un luogo, preventivamente scelto. Le cose andarono esattamente come egli aveva previsto.

A un certo punto dell'inseguimento, le forze romane, ruotando su sé stesse, invertirono la marcia, e stringendo in un movimento a tenaglia i Palmireni, ne fermarono la carica, uccidendone la maggior parte. Zenobia e Zabdas, una volta messisi in salvo da questi scontri, riuscirono a raggruppare altre truppe, scontrandosi nuovamente con Aureliano ad Emesa, là dove l'imperatore risultò ancora vittorioso, grazie alla stessa ed identica tattica.

Zabdas molto probabilmente cadde durante gli scontri (non è più menzionato a seguito della battaglia), mentre Zenobia fu fatta prigioniera da Aureliano. Sebbene sia famosa la statua che la ritrae legata con catene d'oro, mentre viene condotta per le strade di Roma, è plausibile che tutto ciò appartenga soltanto alla leggenda. Infatti Aureliano potrebbe aver preferito non suscitare più attenzione di quanto non fosse necessario intorno a Zenobia, e d'altro canto tutti gli sforzi profusi al fine di riuscire a prevalere su di una donna, gli avrebbero potuto provocare più di un imbarazzo.

Dopo aver ricondotto l'area orientale sotto l'egida dell'impero, Aureliano si diresse ad Ovest, per acquisire nuovamente quanto Postumo aveva rivendicato per sé. Tuttavia, all'epoca, Postumo era già deceduto, essendo stato passato per le armi dalle sue stesse milizie, e l'impero gallico era ora guidato da Tetrico I (271-274 d.C.). La fama di Aureliano lo precedette nella sua avanzata verso Occidente, dal momento che Tetrico I sembra fosse ben poco impaziente di scontrarsi con lui in battaglia. Ciononostante, i due eserciti si affrontarono ai Campi Catalaunici (Chalons-sur-Marne Dip. Marne) nel 274 d.C. e le truppe di Tetrico I vennero sbaragliate da Aureliano.

aI CAMPI CATALAUNICI nel 274 d.C. le truppe di Tetrico I vennero sbaragliate da Aureliano

Sulla Battaglia dei Campi Catalaunici del 274 c'è un ampio dibattito, tenuto vivo da una serie di congetture, a cominciare dai primi resoconti, dai quali emerge che Tetrico I inviò un'ambasceria ad Aureliano offrendogli la resa o, almeno, di risparmiare a lui ed al figlio la vita. Non a caso, però, Tetrico I ed il figlio sopravvissero agli scontri, ed il primo continuò ad avere un ruolo nell'amministrazione imperiale. Ciò è ritenuta essere una riprova, così come alcune pretese susseguenti di Aureliano, del fatto che Tetrico avesse tradito il suo esercito.

Sebbene l'affermazione abbia poco o nessun senso, ad Aureliano sarebbe senz'altro convenuto accettare la resa proposta da Tetrico prima della battaglia, mantenendo integre le proprie legioni. Infatti, benché egli avesse così assestato il colpo finale ad un acerrimo nemico, l'impresa gli era costata molto in uomini ed equipaggiamenti, i quali sarebbero tornati sicuramente utili sugli altri fronti da consolidare. Inoltre, se non le avesse falcidiate, egli avrebbe poi potuto disporre ampiamente delle forze messe in campo da Tetrico.

Un motivo più plausibile della decisione di risparmiare la vita a Tetrico I, potrebbe essere stato il riscontro avuto da Aureliano nell'essere stato magnanimo, durante la campagna di Palmira. Risparmiando la vita a Tetrico ed al figlio, Aureliano dimostrò di essere un capo interessato a ristabilire l'ordine, piuttosto che a esercitare un potere gratuitamente spietato, capace, quindi di perdonare i trasgressori e non solo di punirli.

È altresì possibile che Aureliano ritenesse tale strategia politica utile a redarguire chiunque, in futuro, avesse deciso di separarsi dall'impero, tuttavia egli non visse abbastanza per averne una riprova. Fu assassinato dai suoi generali, erroneamente convinti che egli volesse giustiziarli, con l'intenzione di sostituirli.

Considerazioni conclusive

La crisi dell'impero non terminò tanto grazie ad una sorta di riproposizione delle più antiche consuetudini, quanto per alcune fondamentali riforme nelle principali istituzioni dell'amministrazione imperiale. Ciò accadde in particolare dopo alcuni anni dalla morte di Aureliano, quando giunse alla massima carica Diocleziano, che affrontò in modo risoluto ognuna delle criticità che avevano contribuito alla creazione del caos, verificatosi durante i cinquant'anni precedenti. Egli si basò su quanto già aveva fatto Aureliano nel consolidare i confini dell'impero e nel rafforzare il ruolo dell'imperatore, sia rispetto alla popolazione, sia rispetto ai militari a lui sottomessi e giunse, in coerenza con le sue mire, a creare un'aura di divinità intorno al suo ruolo, fino renderlo autonomo dal supporto dei militari.

Roman Emperor Diocletian
L'imperatore Diocleziano
Carole Raddato (CC BY-SA)

Diocleziano diminuì il potere dei militari, implementando un sistema di difesa stratificato, mediante il quale guarnigioni mobili, solitamente di stanza nelle zone interne dell'impero, potessero all'occorrenza rinforzare le unità dislocate a presidio dei confini. Tale organizzazione, infatti, non richiedeva la concentrazione massiccia di milizie in fortificazioni che, di frequente, entravano nelle mire dei loro luogotenenti o dei governatori della rispettiva provincia. Le unità mobili, inoltre, si occupavano di un altro problema: la preferenza dei legionari ad essere dislocati nelle loro regioni d'origine. Benché tale scelta strategica sia stata valutata come vantaggiosa, prevalentemente perché si presume che si combattesse in modo più risoluto per la propria patria, piuttosto che per lo straniero, essa permise, altresì, un ulteriore fattore di efficienza, nel cementare stretti legami tra i combattenti ed i loro capi locali, rispetto a quanto fosse accaduto fino ad allora tra gli stessi soldati e l'imperatore.

Egli poi, varò una riforma monetaria che pose un freno all'inflazione galoppante dei decenni precedenti. Inoltre, con l'intento di garantire una successione ordinata e pacifica, con governi più stabili e duraturi, stabilì la Tetrarchia (potere dei quattro). In virtù di tale sistema, i compiti e le responsabilità di governo sul vasto impero romano, furono suddivisi tra due differenti istituzioni, di cui già erano noti i candidati (i cesari) ad assumerne il ruolo, al termine dell’esercizio di chi fosse in carica in ognuno dei due imperi (gli augusti). La soluzione definitiva da lui data ai problemi dell'impero è la nota suddivisione tra parte orientale ed occidentale, con la quale ognuna delle stesse parti, divenne più agevolmente gestibile, per ognuno dei rispettivi imperatori.

Le iniziative di Aureliano e Diocleziano assicurarono la tenuta dell'impero occidentale per almeno duecento anni, mentre quello orientale arrivò (pur essendo noto come impero bizantino) fino al 1453. Comunque, se qualcosa è giunto fino ai nostri giorni, dell'eredità culturale di Roma, ciò è dovuto in modo significativo a quanto riuscì così a salvarsi dopo la crisi del terzo secolo d.C.

Info traduttore

Gennaro Meccariello
Gennaro è uno studioso di storia locale ed è appassionato di storia. Laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Benevento, è interessato in particolar modo alla storia medievale, alla storia delle istituzioni ed alla storia contemporanea.

Info autore

Joshua J. Mark
Scrittore freelance ed ex Professore part-time di Filosofia presso il Marist College (New York), Joshua J. Mark ha vissuto in Grecia ed in Germania, ed ha viaggiato in Egitto. Ha insegnato storia, scrittura, letteratura e filosofia all'Università.

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Stile APA

Mark, J. J. (2017, novembre 09). Crisi del Terzo Secolo [The Crisis of the Third Century]. (G. Meccariello, Traduttore). World History Encyclopedia. Estratto da https://www.worldhistory.org/trans/it/1-16450/crisi-del-terzo-secolo/

Stile CHICAGO

Mark, Joshua J.. "Crisi del Terzo Secolo." Tradotto da Gennaro Meccariello. World History Encyclopedia. Modificato il novembre 09, 2017. https://www.worldhistory.org/trans/it/1-16450/crisi-del-terzo-secolo/.

Stile MLA

Mark, Joshua J.. "Crisi del Terzo Secolo." Tradotto da Gennaro Meccariello. World History Encyclopedia. World History Encyclopedia, 09 nov 2017, https://www.worldhistory.org/Crisis_of_the_Third_Century/. Web. 29 giu 2025.