
Aristotele di Stagira (384-322 a.C.) è stato un filosofo greco che ha inaugurato un esame sistematico e scientifico propriamente in ogni ambito del sapere umano e che, già ai suoi tempi, era conosciuto come “l’uomo che sapeva tutto” e in seguito semplicemente come “Il Filosofo”, senza bisogno di ulteriori specificazioni, tanto era diffusa la sua fama.
Inventò letteralmente da solo il concetto di metafisica, quando (lui o uno dei suoi scribi) collocò il suo trattato sulla speculazione filosofica astratta dopo quello sulla fisica (metafisica significa letteralmente “dopo la fisica”) e stabilì uno standard nell’ambito dell’apprendimento – ovvero nel modo in cui le informazioni vengono raccolte, assimilate and interpretate, e poi comunicate – attraverso numerose discipline.
Durante il tardo Medioevo (ca. 1300-1500 d.C.), veniva chiamato “Il Maestro”, in particolare nell’Inferno di Dante, dove l’autore non aveva nemmeno bisogno di identificarlo per nome affinché fosse riconosciuto. Questo appellativo è particolarmente adatto, poiché Aristotele scrisse ed era considerato maestro in discipline tanto diverse quanto biologia, politica, metafisica, agricoltura, letteratura, botanica, medicina, matematica, fisica, etica, logica e teatro. È tradizionalmente considerato il successore di Socrate e Platone nella triade dei tre più grandi filosofi greci.
Platone (ca. 424/423–348/347 a.C.) fu allievo di Socrate (ca. 469/470–399 a.C.) e Aristotele aveva studiato sotto la guida di Platone. Lo studente e il maestro non erano d’accordo su un aspetto fondamentale della filosofia di Platone: l’insistenza su un piano superiore di Forme che renderebbe possibile la realtà oggettiva su quello terreno, anche se, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni studiosi, questo disaccordo non causò alcuna rottura tra loro. Aristotele avrebbe sviluppato le teorie di Platone per far avanzare il proprio pensiero originale e, sebbene rifiutasse la Teoria delle Forme, non disprezzò mai i fondamenti della filosofia del suo maestro.
Fu assunto da Filippo II, re di Macedonia (r. 359-336 a.C.), come precettore per suo figlio Alessandro Magno (356-323 a.C.) e lasciò una tale impressione sul giovane che Alessandro portò con sé le opere di Aristotele durante le sue campagne militari e introdusse la filosofia aristotelica in Oriente quando conquistò l’Impero Persiano. Attraverso Alessandro, le opere di Aristotele si diffusero in tutto il mondo conosciuto dell’epoca, influenzando la filosofia antica e fornendo le basi per lo sviluppo della teologia ebraica, cristiana e musulmana.
Infanzia
Aristotele nacque nel 384 a.C. a Stagira, in Grecia, al confine con la Macedonia. Suo padre, Nicomaco, era il medico di corte del re macedone e morì quando Aristotele aveva dieci anni. Fu lo zio ad assumerne la tutela e a occuparsi della sua educazione. Con ogni probabilità, Aristotele trascorse del tempo con i precettori della corte macedone, in quanto figlio e nipote di membri del personale di palazzo, ma non si ha certezza a riguardo. A diciott’anni fu inviato ad Atene per studiare all’Accademia di Platone, dove rimase per i successivi vent’anni.
Fu uno studente eccezionale, si laureò in anticipo e ottenne un incarico presso l’Accademia, insegnando retorica e dialogo. Sembra che Aristotele si aspettasse di assumere la direzione dell’Accademia dopo la morte di Platone e, quando la carica fu invece affidata al nipote di Platone, Speusippo, lasciò Atene per condurre esperimenti e studi in autonomia nelle isole dell’arcipelago greco.
Aristotele ed Alessandro Magno
Nel 343 a.C., Aristotele fu convocato da re Filippo II di Macedonia per istruire suo figlio Alessandro e mantenne questo incarico per i successivi sette anni, fino a quando Alessandro salì al trono nel 336 a.C. e diede inizio alle sue celebri conquiste. Nel 335 a.C., Aristotele era tornato ad Atene, ma i due umini rimasero in contatto attraverso lettere e l'influenza di Aristotele sul conquistatore si può osservare nell'abile e diplomatica gestione dei complessi problemi politici che Alessandro affrontò nel corso della sua carriera. L’abitudine di Alessandro di portare con sé libri durante le campagne militari e la sua ampia cultura sono state attribuite all’influenza di Aristotele, così come il suo apprezzamento per l’arte e la cultura.
Aristotele, che nutriva una scarsa considerazione per i “barbari” non greci in generale e per i Persiani in particolare, incoraggiò la conquista del loro impero da parte di Alessandro. Come la maggior parte dei Greci (se non di tutti), Aristotele era cresciuto ascoltando racconti della battaglia di Maratona del 490 a.C., dell’invasione persiana del 480 a.C. e del trionfo greco a Salamina e Platea. Il suo sostegno alla conquista, dunque, non sorprende affatto, considerando l’atmosfera culturale in cui era cresciuto, rimasta largamente anti-persiana.
Anche a prescindere da questa considerazione, Aristotele era filosoficamente favorevole alla guerra, poiché la considerava un’opportunità per grandiosità e per applicare la propria eccellenza personale in situazioni pratiche e difficili. Aristotele riteneva che lo scopo ultimo dell’esistenza umana fosse la felicità (eudaimonia – letteralmente, “essere in possesso di un buon demone”) e che tale felicità potesse realizzarsi conducendo una vita virtuosa in grado di sviluppare la propria arete (“eccellenza personale”).
L’arete di una persona permetteva di vedere ciò che doveva essere fatto in una data situazione e di essere in grado di farlo. Inoltre, associandosi con compagni virtuosi che cercavano il medesimo fine, l’anima veniva arricchita e la propria eccellenza affinata e perfezionata, e la guerra offriva molte opportunità ad un individuo per espandere e dimostrare non solo il proprio valore, ma anche la propria grandiosità. Avrebbe incoraggiato Alessandro con riflessioni di questo tipo prima dell’inizio della campagna nel 336 a.C.
Convinzioni e divergenze con Platone
Una volta tornato ad Atene nel 335 a.C., Aristotele fondò una propria scuola, il Liceo, rivale dell’Accademia di Platone. Aristotele era un teleologo, ovvero un individuo che crede nelle ‘cause finali’ e negli scopi ultimi dell’esistenza, e riteneva che ogni cosa e ogni essere nel mondo avesse una ragione di esistere e, inoltre, che tali fini potessero essere compresi attraverso l’osservazione del mondo conosciuto.
Platone, che si era anche occupato delle cause prime e dei fini ultimi, li considerava in modo più idealistico e riteneva che potessero essere conosciuti attraverso la comprensione di un piano superiore e invisibile di verità che egli chiamava “Regno delle Forme”. La filosofia di Platone era profondamente radicata nel misticismo della scuola pitagorica, fondata dal filosofo e mistico presocratico Pitagora (circa 571–497 a.C.). Pitagora poneva l’accento sull’immortalità dell’anima e sull’importanza di una vita virtuosa, riconoscendo l’esistenza di verità fondamentali ed indiscutibili nella vita, che occorre riconoscere e seguire per condurre una buona esistenza.
Platone fu significativamente influenzato anche da un altro filosofo presocratico, il sofista Protagora (circa 485–415 a.C.), considerato il primo pensatore relativista. Protagora sosteneva notoriamente che “l’uomo è misura di tutte le cose”, intendendo che la percezione individuale determina la verità. Non può esserci una verità oggettiva in una data situazione, secondo Protagora, poiché ogni fenomeno osservabile o esperienza emotiva o psicologica è soggetta all’interpretazione del singolo individuo.
Aristotele non poté mai accettare la Teoria delle Forme di Platone, né credeva che si dovesse postulare l’invisibile per spiegare il mondo osservabile, quando si poteva invece procedere a ritroso da ciò che si vede verso una Causa Prima. Nelle sue Fisica e Metafisica, Aristotele afferma che la Causa Prima dell’universo è il Primo Motore: ciò che muove tutto il resto ma che di per sé è immobile. Per Aristotele, ciò aveva più senso del Regno delle Forme.
Per Aristotele, un cavallo è bello a causa di certe caratteristiche che gli esseri umani associano al concetto di bellezza: il mantello ha un colore gradevole, è in buona salute, ha una bella postura nel recinto. Affermare che un cavallo è bello per via di un qualche regno invisibile e non dimostrabile della Bellezza Perfetta era, per Aristotele, inaccettabile, poiché ogni affermazione dovrebbe richiedere una prova per poter essere accolta.
Nel rifiutare la Teoria delle Forme, Aristotele menziona Platone e afferma quanto detesti doversi opporre al suo ex maestro, un uomo che gli rimane caro. Ritiene tuttavia necessario affrontare l’impraticabilità della teoria platonica e invita i platonici ad abbandonarla, scrivendo:
Nell’interesse della verità, forse si dovrebbe ritenere che un uomo, specialmente se filosofo, debba rinunciare anche alle teorie che un tempo furono sue, e in effetti deve farlo… è nostro sacro dovere onorare la verità più degli amici [cioè Platone]. (Etica Nicomachea I.1096a.15)
Platone sosteneva che i concetti intellettuali della Verità non potessero essere ottenuti attraverso l’esperienza e che, in realtà, nulla potesse essere appreso. Lo dimostra in particolare nel dialogo Menone, dove argomenta che ogni apprendimento è in realtà un “ricordo” di una vita passata. Aristotele respinse tale affermazione, sostenendo che la conoscenza fosse evidentemente acquisita, poiché le persone potevano essere istruite, come dimostrano i cambiamenti nella loro percezione della vita e nel comportamento.
Un uomo era buono, secondo Aristotele, perché gli era stato insegnato il valore di una vita virtuosa e onesta. Se un individuo non potesse realmente “imparare”, ma solo “ricordare” verità essenziali da una vita precedente in cui era “buono”, allora non si potrebbe considerarlo “buono” in sé. La virtù esibita da un essere umano nella vita era il risultato della sua scelta di comportarsi in un certo modo e della pratica di abitudini virtuose per se stesse, non per fama o lodi altrui. Aristotele scrive:
L’onore sembra dipendere da chi lo conferisce più che da chi lo riceve, mentre supponiamo che il bene sia qualcosa che appartiene all’uomo e che non possa essergli facilmente sottratto. (Etica Nicomachea I.1095b.25)
Aristotele raccomandava moderazione in ogni cosa per raggiungere questo “bene” nella vita, che alla fine consisteva in una felicità che nessuno e nessuna circostanza potevano togliere o diminuire. Sosteneva che “l’uomo diventa giusto compiendo azioni giuste e temperante compiendo azioni temperanti” (Etica Nicomachea I.1105b.10). Questa autocontrollo era esemplificato dal suo concetto del Giusto Mezzo. Aristotele scrive:
Per quanto riguarda piaceri e dolori… il mezzo è la temperanza e l’eccesso è la licenziosità. Nel prendere e dare denaro, il mezzo è la generosità, mentre l’eccesso e la mancanza sono rispettivamente la prodigalità e l’avarizia. In questi vizi, l’eccesso e il difetto agiscono in modo opposto: un prodigo eccede nello spendere ed è carente nel prendere, mentre un avaro eccede nel prendere ed è carente nello spendere. (Etica Nicomachea I.1107b.5-10)
Il Giusto Mezzo funge da regolatore per correggere il comportamento. Se si sa di essere inclini all’eccesso della prodigalità, si dovrebbe tendere verso l’estremo opposto dell’avarizia. Poiché l’inclinazione naturale sarà spendere con facilità, uno sforzo consapevole per non spendere nulla porterà a stabilirsi nel punto intermedio tra gli estremi.
La dottrina del Giusto Mezzo era tra i molti precetti che Aristotele insegnava ai suoi studenti al Liceo. La sua abitudine di camminare avanti e indietro mentre insegnava valse al Liceo il nome di Scuola Peripatetica (dal termine greco peripatetikos, che significa 'che cammina intorno'). Lo studente prediletto di Aristotele nella scuola fu Teofrasto, che gli successe alla guida del Liceo e che raccolse e pubblicò le sue opere. Alcuni studiosi hanno sostenuto, infatti, che ciò che oggi conosciamo delle opere di Aristotele non fosse stato scritto per essere pubblicato, ma costituisse solo appunti delle lezioni destinati alle sue classi, che Teofrasto e altri ammiravano profondamente e quindi fecero copiare e diffondere.
Contributi ed opere famose
Il Giusto Mezzo è uno dei contributi più noti di Aristotele al pensiero filosofico (dopo il Primo Motore), ma va sottolineato che si tratta solo di un aspetto della sua riflessione etica, mentre Aristotele ha contribuito a ogni ambito del sapere disponibile ai suoi tempi. In etica, notoriamente investigò anche la differenza tra azioni volontarie e involontarie, incoraggiando le persone a riempire la propria vita del maggior numero possibile di azioni volontarie, al fine di raggiungere la massima felicità. Era consapevole che nella vita quotidiana ci si imbatte in compiti e responsabilità che non si ha voglia di affrontare, ma suggeriva di considerare questi fastidi apparenti come opportunità e vie per la felicità.
Ad esempio, può darsi che una persona non abbia voglia di lavare i piatti e consideri questo compito un’azione involontaria. Aristotele avrebbe proposto di vedere il lavaggio dei piatti come un mezzo per ottenere un fine desiderabile: una cucina pulita e piatti pronti per il prossimo pasto. Lo stesso vale per un lavoro che non si ama. Invece di vederlo come un ostacolo alla felicità, si dovrebbe considerarlo come il mezzo che consente di acquistare generi alimentari, vestiti, fare viaggi e coltivare i propri hobby. Il valore del pensiero positivo e l’importanza della gratitudine sono stati messi in evidenza da numerosi autori in discipline diverse nel XX e XXI secolo, ma Aristotele fu un sostenitore di queste idee già molti secoli prima.
Nella sua opera Sull’anima, Aristotele affronta il tema della memoria come fatto, sostenendo che i ricordi sono impressioni, ma non registrazioni affidabili di ciò che è realmente accaduto. Un ricordo assume un valore diverso quando si fanno nuove esperienze e così il ricordo di un evento spiacevole (come un incidente d’auto) può cambiare se, proprio a causa di quell’incidente, si incontra l’amore della propria vita. Le persone selezionano e scelgono cosa ricordare e come ricordarlo, in base alla narrazione emotiva che stanno raccontando a se stesse e agli altri. Questo concetto è stato esplorato da Freud e Jung nel XX secolo, ma non fu affatto un’idea originale di nessuno dei due.
Nella sua Politica, Aristotele affronta le questioni relative allo stato, che egli considera uno sviluppo organico naturale in ogni comunità umana. Lo stato non è una struttura statica imposta dall’alto, ma un’entità dinamica e vivente creata da coloro che poi vivranno sotto le sue regole. Ben prima che Thomas Hobbes scrivesse il suo Leviatano sul peso del governo o che Jean-Jacques Rousseau elaborasse il suo Contratto sociale, Aristotele aveva già affrontato i medesimi temi.
La Poetica di Aristotele introdusse concetti fondamentali come la mimesis (imitazione della realtà nell’arte) e la catarsi (purificazione delle emozioni forti) nella critica letteraria e nelle arti. Le sue osservazioni sulla forma poetica e retorica continuarono a essere insegnate come verità oggettive fino al Rinascimento europeo. Aristotele era mosso da una curiosità naturale verso tutti gli aspetti della condizione umana e del mondo naturale: studiava sistematicamente ogni soggetto che attirava la sua attenzione, lo apprendeva a fondo e cercava poi di renderlo comprensibile e significativo attraverso l’interpretazione filosofica. In questo processo, sviluppò una prima forma di metodo scientifico, formulando un’ipotesi e poi testandola attraverso un esperimento che potesse essere ripetuto con gli stessi risultati.
Conclusione
Dopo la morte di Alessandro Magno nel 323 a.C., quando l’opinione pubblica ateniese si volse contro la Macedonia, Aristotele fu accusato di empietà a causa della sua precedente associazione con Alessandro e con la corte macedone. Ricordando l’ingiusta condanna a morte di Socrate, Aristotele scelse di fuggire da Atene, «affinché gli Ateniesi non peccassero due volte contro la filosofia», come disse. Morì per cause naturali l’anno successivo, nel 322 a.C.
Gli scritti di Aristotele, come quelli di Platone, hanno influenzato praticamente ogni ambito del sapere umano negli ultimi duemila anni. Sebbene in Occidente non fosse ampiamente letto dopo la caduta di Roma, le sue opere furono apprezzate in Oriente, dove gli studiosi musulmani ne trassero ispirazione e comprensione. L’Etica di Aristotele (scritta per il figlio Nicomaco come guida a una vita virtuosa) è ancora oggi considerata un punto di riferimento filosofico nello studio dell’etica. Contribuì alla comprensione della fisica, creò il campo e lo studio di ciò che oggi è noto come metafisica, scrisse ampiamente di scienze naturali e filosofia politica, e la sua Poetica resta un classico della critica letteraria.
In tutto ciò, dimostrò di essere davvero Il Maestro riconosciuto da Dante. Come per Platone, l’opera di Aristotele pervade l’intero spettro della conoscenza umana così come viene intesa ancora oggi. Molti studiosi, filosofi e pensatori, nel corso degli ultimi duemila anni, hanno discusso, respinto, ignorato, messo in dubbio o persino confutato le teorie di Aristotele, ma nessuno ha mai negato che la sua influenza sia stata vasta e profondamente incisiva, al punto da fondare scuole di pensiero e creare discipline che oggi si danno per scontate, come se fossero sempre esistite.