Nel mondo medievale, il luogo in cui poter godere al meglio di un pasto piacevole su una tavola riccamente apparecchiata era il castello locale. Nella splendida sala grande, si tenevano spesso banchetti serviti per il signore locale e la sua corte di cavalieri e dame: un abbondante appetito era considerato una grande virtù. I cuochi si rifornivano dal magazzino del castello, riempito con beni ricevuti sotto forma di tasse o requisiti alla classe contadina locale, o con alimenti prodotti dai terreni del castello. Ad aggiungersi a queste prelibatezze andava qualunque cosa gli abitanti del castello potevano portare dalla caccia nella foresta. Non essendoci molte altre possibilità di intrattenimento, il banchetto diventava il momento saliente della giornata e un’occasione per indossare abiti eleganti, per provare cibi esotici e ascoltare musicanti e poeti.
La scorta di cibo
Nei castelli venivano conservate abbondanti scorte di cibo nei sotterranei e nel piano terra dei torrioni poiché, essendo privi di finestre (per aumentare la sicurezza durante gli assedi) questi luoghi non potevano essere adibiti a nessun’altra funzione. Nelle corti dei castelli più grandi c’erano edifici dedicati alla birrificazione, alla preparazione del pane e più spazio di stoccaggio come i bastioni dove si tenevano abbondanti riserve di birra, vino e sidro (sempre utili nel caso di eseurimento delle scorte d’acqua durante un assedio prolungato). Si poteva anche trovare un ancor più selezionata riserva di liquori, come l’idromele inglese o il brandy francese, conservati per il signore e le occasioni speciali. Nei castelli più ampi c’era anche lo spazio per tenere il bestiame, le piccionaie, i granai per tenere grani e farine, laghetti per i pesci e un giardino per coltivare erbe, frutta, uva e verdure.
Gli alimenti venivano presi dagli animali e dalle terre appartenenti al castello o venivano pagati sotto forma di tasse dai contadini locali. Era la signora del castello ad avere la responsabilità di controllare tutti gli aspetti domestici della vita del castello, inclusa la scorta di cibo (anche se era lo sceriffo locale a procurarsi il cibo necessario dai contadini), il menu giornaliero e la cura degli ospiti. I rifornimenti di cibo, ovviamente, non erano sempre regolari. Il mal tempo colpiva l’agricoltura e comprometteva il raccolto, alzando i prezzi alle stelle e rendendo certi cibi indisponibili. La produzione di cibo, così come molte altre attività dell’uomo, era colpita in particolar modo da eventi catastrofici come guerre, carestie e la peste. Tuttavia, nella normale quotidianità, un pranzo al castello era un evento da non perdere.
La sala grande
Nella sala grande del castello, solitamente con alti soffitti (anche a volta) e decorazioni sulle pareti come armi, arazzi, murali e stemmi, c’era un ampio camino per scaldare e lunghe tavole con panche poste attorno ai muri per i commensali. Il pavimento era ricoperto di paglia ed erbe per tenere lontani gli insetti e pervadere la stanza con profumi. I posti a sedere erano ben definiti. Il signore e la signora del casello con i loro cortigiani sedevano su una piattaforma rialzata alla fine della sala, la tavola alta e solitamente lontana dagli spifferi. Solo il signore del castello e a volte la sua signora sedevano su delle sedie, tutti gli altri sedevano sulle panche. I tavoli venivano montati solo per i pasti ed erano semplicemente appoggiati su dei cavalletti e coperti con una tovaglia. Ogni posto aveva un coltello, un cucchiaio e una coppa mentre le caraffe con le bibite e il piatto con il sale erano condivise tra i vari commensali.
Dopo un’esigua colazione composta da pane e vino e consapevoli che nel tardo pomeriggio vi sarebbe stata solo una semplice zuppa ad attenderli, i commensali erano pronti per il loro pasto principale della giornata, solitamente servito tra le 10 e 12. Durante le feste o le festività cristiane, il pranzo, già normalmente abbondante, sarebbe stato ancor più speciale. Il pasto veniva annunciato dal ciambellano che suonava un corno, segnale al quale tutti si lavavano le mani in una scodella d’acqua posta vicino a loro. Siccome non esistevano le forchette, si tagliava il cibo con il coltello poi si usavano le mani, perciò i servitori erano sempre vicini con scodelle piene di acqua fresca e salviette per asciugarsi le mani. I piatti venivano serviti ogni due commensali e il meno illustre doveva tagliare il cibo e spezzare il pane per l’altro. Il galateo prevedeva di non posare i gomiti sul tavolo, non lasciare il cucchiaio nel piatto condiviso, non prendere grandi porzioni, pulirsi la bocca prima di bere e non ruttare.
La cucina
Gli chef venivano aiutati, a seconda della dimensione del castello, da abili specialisti come il sous chef, il macellaio, il fornaio, il pollivendolo e il fruttivendolo. Altri membri dello staff erano i coppieri, i birrai e le persone responsabili di aspetti specifici del pasto medievale come le tovaglie, le candele, l'agenteria e portare il cibo agli ospiti dalla cucina prima che diventasse freddo.
Gli chef avevano un’ampia fiamma libera, un braciere e un forno con i quali fare le loro magie. Alcuni forni erano immensi, come quelli commissionati da Re Giovanni d'Inghilterra ai castelli di Marlbourough e di Ludgershall, dove si potevano cucinare grandi buoi interi. Vicino alla cucina vi era una dispensa dove venivano conservati prodotti come formaggi, uova e pane.
Il banchetto Medievale
Ciò che nel medioevo distingueva i ricchi dai poveri più di ogni altra cosa in termini di cibo era la carne. Essa poteva essere fresca, salata o affumicata, e includeva pollo, pancetta, maiale, manzo, montone, anatra, oca, piccioni e selvaggina come fagiani e pernici. Per i commensali più avventurosi c’erano gru, allodole e aironi, ma qualsiasi cosa con le ali trovava la sua strada sulle tavole del castello. Poi c’erano selvaggine a quattro zampe come i cervi, le lepri e i cinghiali catturati durante la caccia, passatempo estremamente popolare per quelli abbastanza ricchi da non dover lavorare per vivere. Pietanze più esotiche includevano cigni e pavoni che rendevano speciali le presentazioni dei piatti
Nel medioevo la moda era quella di bollire la carne in ampi calderoni, un processo conosciuto come ‘bollitura’. In alternativa, la si arrostiva o grigliava mentre gli stufati e le zuppe venivano preparate. I ravioli di carne erano fatti con carne macinata mescolata con uova e pane grattugiato, poi sbollentati. Un altro piatto prevedeva la battitura della carne che poi veniva impastata con il riso bollito. Infine, venivano preparati tortini di carne, pasticcini e frittelle, venivano anche serviti tortini di pesce. I pesci più comuni erano l'aringa, il merluzzo, la trota, la sogliola, la platessa, il salmone, l’orata, il luccio, lo sgombro e la triglia. Il pesce poteva essere fresco sennò veniva affumicato o salato per essere conservato. Solitamente veniva fritto o cucinato in una soluzione di birra e acqua salata. Gli esempi più esotici e costosi di pesce di mare erano lo storione e la balena, entrambi conosciuti come “pesci reali”, ma c’erano anche gamberi, anguille, ostriche e focene se il signore del castello voleva impressionare i propri ospiti.
I contorni di verdure più comuni erano piselli e fagioli, ma vi erano anche radici come carote, pastinaca e bardana o lappa così come lattuga, barbabietole, cavoli, spinaci, porri, zucche e crescione. Capperi e noci erano i preferiti. Il pane era più scuro di quello che usiamo oggi poiché le farine erano meno raffinate, ed oltre a essere pratico da stuzzicare era usato come piatto. La carne arrostita, in particolare, era spesso servita su una spessa fetta di pane vecchio di un giorno (tagliere o manchet) mentre altri portate venivano servite nelle ciotole.
I dessert consistevano in formaggi, wafer e pasticcini come tartine di frutta o formaggio. La frutta includeva mele, pere, prugne, pesche, ciliegie e frutti di bosco. Sulle tavole dei castellani più benestanti era possibile trovare cibi esotici importati dall’estero, come il riso, le mandorle, uva passa, arance, melograno, fichi e datteri.
I cibi venivano conditi con sale, aceto, senape, anice ed erbe aromatiche (come basilico, finocchio, rosmarino, prezzemolo, salvia e menta). Il miele era un dolcificante comune mentre lo zucchero era raro, a volte fatto con rose e viole. Le salse erano preparate macinando le erbe e mescolandole con il vino, il succo dell’uva acerba (agresto) o l’aceto. Cipolla, aglio, zenzero, zafferano, chiodi di garofano, noce moscata e cannella facevano parte del repertorio dello chef per rendere qualcosa di noioso interessate e mascherare il sapore della carne andata a male nelle dispense del castello. Le spezie erano costose, 30 grammi di pepe per esempio raggiungevano il salario giornaliero di un bracciante dell'epoca.
Il vino servito nelle tavole non era stagionato, poiché non era ancora stato inventato un modo per sigillarlo e immagazzinarlo indefinitamente. Dopo essere stato travasato dalle botti nelle caraffe gli venivano aggiunte spezie o dolcificanti, pratica dovuta anche al fatto che solitamente non era particolarmente buono, come riportano molti commentatori medievali. In alternativa, ma non per gli ospiti più distinti, venivano serviti diversi tipi di birra fatta con orzo, malto, grano o avena. Essendo a basso contenuto di alcol, venivano bevute anche dai bambini. L’acqua non era mai troppo pulita perciò era meglio evitarla.
Tutto questo cibo veniva diviso su varie portate, a volte si arrivava fino a dieci per un singolo pasto. I commensali non temevano di sembrare ingordi, poiché un buon appetito era considerato una grande virtù nel mondo medievale. Infatti, c’erano modi di dire come “un uomo che mangia con entusiasmo non sarà mai un codardo” e i cavalieri specialmente si sfidavano a chi mangiasse e bevesse di più. Uno dei cavalieri più famosi, l’inglese Sir William Marshal (ca. 1146-1219) era noto come ‘il mangione' o gaste-viande nella sua giovinezza, termine che non denotava una critica ma che era piuttosto un segno d'affetto. Allo stesso modo, un altro cavaliere, Guy de Bourgogne, sembra che avesse fatto di tutto per impressionare i suoi carcerieri saraceni, che riportarono che lui avesse l’appetito di quattro uomini.
Intrattenimento
Mentre gli ospiti si abbuffavano con questo abbondante banchetto, giocolieri e giullari si esibivano, forse anche un arpista offriva un discreto sottofondo musicale e i menestrelli cantavano e suonavano il liuto o vielle (una versione primitiva del violino) come intrattenimento. Dopo il pasto, gli ospiti che se la sentivano potevano giocare a dadi, backgammon o scacchi, allora estremamente popolari. Tutti questi giochi prevedevano che venissero fatte dell scommesse. In alternativa, i menestrelli cantavano a pieni polmoni qualche canzone, le chanson de gestes e le chansons d’amour, poemi epici in francese antico che raccontavano storie conosciute, rispettivamente di atti valorosi di cavalieri e amori impossibili. Qualcuno degli ospiti cantava canzoni di propria composizione, in quanto questo era ciò che ci si aspettava da un cavaliere galante, ed era considerata una giusta ricompensa per la generosità del padrone di casa che aveva offerto una buona esperienza culinaria.